In questa classe diagnostica rientrano numerosi tipi di schizofrenia, gli episodi maniacali, ed un'ampia gamma di disturbi caratterizzati da anomalie psicopatologiche come deliri, allucinazioni, pensiero, eloquio e/o comportamento motorio disorganizzato (compresa la catatonia), alle quali si associano sintomi cosiddetti "negativi" - più facilmente riscontrabili nelle schizofrenie - quali ad esempio abulia, asocialità, anedonia, e diminuzione dell'espressione delle emozioni. Nei disturbi psicotici non è inoltre mantenuto quello che in psicologia viene definito "esame di realtà". Le allucinazioni ed i deliri del paziente sono a tutti gli effetti parte integrante del suo mondo interiore, e ne condizionano gli aspetti affettivi, comportamentali, sociali e cognitivi. Si noti inoltre che i deliri e le allucinazioni che si possono riscontrare invece in un'ampia gamma di disturbi neuropsicologici non sono indicatori di psicosi.
Si tratta di una classe di disturbi estremamente eterogenea, la cui eziologia è di tipo multifattoriale, ovvero riconducibile a fattori genetici ed ambientali, e che, per la peculiarità della gamma di sintomi comportamentali, che sono evidenti, invasivi, e spesso bizzarri, ha tristemente attirato l'attenzione e l'interesse sociale. I pazienti psicotici e, in modo particolare quelli schizofrenici, sono etichettati dalla società come "pazzi", sulla base di un modello clinico di tipo inclusivo-esclusivo, nel quale la "normalità" è intesa in maniera lontanissima dai principi fondamentali della psicologia e e dalla psichiatria moderna. Il rischio nel quale ci si imbatte, partendo da tali premesse, è quello di danneggiare ulteriormente l'apparato psichico e le capacità funzionali dei pazienti psicotici. La conseguenza di decenni di disinformazione e di approcci clinici ed amministrativi sbagliati è stata quella di etichettare e isolare persone spesso erroneamente considerate pericolose a casa dell'imprevedibilità e della bizzarria dei loro comportamenti. La paura associata a questa classe diagnostica dai non addetti ai lavori non ha infatti pari se confrontata con qualsiasi altro disturbo psichico. L'accento, in casi del genere, deve invece essere al contrario posto sul reinserimento sociale, sul recupero delle funzioni compromesse, e sul riadattamento a condizioni di vita sane.
L'intervento clinico nei disturbi psicotici è di tipo psichiatrico, spesso coadiuvato da quello psicoterapeutico. Lo psicologo lavora invece in sede diagnostica in prima istanza, e riabilitativa in seconda sede, proprio in quest'ottica di empowerment mirata al reinserimento sociale. E' fondamentale sottolineare infatti che i disturbi psicotici non si combattono solo a livello farmacologico. Sebbene infatti in campo farmacologico siano stati fatti passi da gigante per contrastare la malattia da un punto di vista prettamente biologico, il compito degli psicologi, così come quello di amici e familiari, è quello di sostenere il paziente nel percorso di reinserimento sociale, lavorativo, ed affettivo, permettendogli di avere una vita soddisfacente ed orientata nel futuro. Una vita "normale" a tutti gli effetti.
"Anche se gli antipsicotici di seconda generazione riescono finalmente a colpire il cuore biologico della malattia, non potranno però mai trovare al paziente un lavoro, degli amici o una fidanzata: nessuna molecola sarà mai così potente da donargli magicamente la capacità di sviluppare d'un colpo rapporti sociali normali. Questa è una prerogativa che spetterà sempre all'uomo"
("L' enciclopedia - Dizionario Medico", La biblioteca di Repubblica, 2004, pag. 1178)
Dott. Massimiliano Bosco, M. Sc. Psych. - Psicologo clinico, Neuropsicologo
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